Il Distruttore, l’archetipo della purificazione

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base delle mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Siamo arrivati ad uno dei miei archetipi preferiti, il Distruttore!

Il Distruttore è l’archetipo che rappresenta la morte e la metamorfosi. Se dovessimo identificarlo con un punto preciso del viaggio dell’eroe, questo è il punto più basso, in cui tutto sembra perduto e l’eroe è in grave pericolo. Ma è proprio nel momento più oscuro che l’eroe rinasce e sconfigge il male.

Il Distruttore è uno degli archetipi dello Spirito, e presiede il nostro rapporto con la Morte. Il Distruttore media fra noi e la Morte intesa non come mero processo di fine della vita biologica, ma come mistero spirituale, pulsione, energia.

Tutte le religioni cercano di razionalizzare e dare significato al nostro rapporto con la Morte. Tutte le domande dello Spirito ruotano intorno ai misteri che terrorizzano il controllo dell’Io. Per l’Io la Morte è inaccettabile, è un fatto scandaloso perchè essa sfida e vince da sola tutta l’opposizione degli archetipi dell’Io. Non importa che l’Innocente implori, che l’Orfano fugga, che l’Angelo Custode si impegni o che il Guerriero combatta: tutti e quattro saranno spazzati via. Ma prima che questo accada, la Morte si manifesta intorno a noi già da vivi, minacciandoci costantemente.

Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle; appartiene alla morte la vita passata.

Questo è quello che diceva Seneca nel De Brevitate Vitae. Pensiamo alle persone care che ci sono morte, o alla perdita dei nostri animali domestici. Pensiamo ad ogni disgrazia che ci sia mai accaduta, che ha cambiato per sempre la nostra vita: la Morte si è già manifestata nella nostra esistenza, dimostrandoci, prima ancora di venirci a prendere, il suo potere, il potere di sottrarre. Di fronte a questo potere spaventoso, l’Io fa quello che può fare: cercare una soluzione materiale.

L’attuale ricerca scientifica non vuole spiegare il mistero della morte, gli interessa solo cancellarla. I miliardari cercano metodi per raggiungere l’immortalità; tutta la nostra civiltà si affanna a cercare di controllare e contenere la Morte tramite la statistica, le scienze delle previsioni, il miglioramento delle condizioni di vita, il controllo via via sempre più nevrotico su tutti gli aspetti della vita umana. Gli antinatalisti, che vivono solo secondo l’Io, odiano la vita perchè ci sono il dolore e la morte.

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Il dono del Distruttore è l’accettazione della Morte. Il Distruttore buono ci mostra che anch’essa è un dono e un potere che è al nostro fianco nella vita. La Morte toglie di dosso il peso del passato, ci prepara alla Metamorfosi e alla transizione alle varie fasi della vita. Il Distruttore toglie ciò che non serve.

Il Distruttore è attivo in forma Ombra in tutti quelli che uccidono per odio, sadismo, vendetta; in quelli che praticano l’autolesionismo, o sono dipendenti da sostanze o cercano attivamente la morte. Tutte queste persone sono animate da un’oscurità senza fondo, un’oscurità di cui ha inspiegabilmente bisogno lo Spirito, a discapito dell’Io.

Eppure, senza scomodare storie drammatiche, possiamo notare che nella nostra vita mettiamo spesso in atto azioni controproducenti, cioè contrarie a ciò che converrebbe al nostro Io. Ci autosabotiamo costantemente, abbiamo paura del successo, abbiamo la testa piena di fobie senza alcun fondamento; oppure mangiamo fino a stare male, stiamo ore e ore di fronte al cellulare senza sapere perchè, beviamo e fumiamo per mera abitudine, odiamo qualcuno senza buon motivo, facciamo del male per un impulso, odiamo noi stessi… l’elenco è lungo. Questo è il nostro Distruttore, al lavoro nella vita quotidiana.

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Un grave lutto, un dolore immenso, un cambiamento doloroso e irreversibile, un incidente, la perdita di qualcosa che amavamo: di fronte a queste fatalità della vita, solo il Distruttore ci può aiutare a lasciare andare ciò che avevamo perso. Questo archetipo ci ricorda che nulla di ciò che possediamo è  veramente nostro, nemmeno il corpo. Tutto ciò che diamo per scontato può sfuggirci di mano, dissolversi come neve, volare via come sabbia… Tutto questo è terrificante per il nostro Ego, semplicemente inaccettabile. è per sfuggire al dolore che ci provoca la Morte che abbiamo creato millemila religioni e oggi ci dedichiamo alla ricerca sull’immortalità., il nostro Ego si affanna a sfuggire da questo mondo di dolore. Per tanti che non riescono a trovare la chiave della Vita, questo mondo è fondamentalmente immorale e malvagio e diventano antinatalisti.

In verità, di fronte alla nostra impermanenza, il Distruttore ci aiuta a fare a pezzi l’Ego, a togliere quelle parti che ci rendono impossibile vivere.

Nel capitolo di Berserk dei bambini perduti, non è solo l’Orfano ad aiutare Guts, sebbene sia il suo archetipo principale. C’è anche la radicale e necessaria accettazione che l’idea Egoica del paradiso vada distrutta, affinchè si possa ad arrivare al vero paradiso, quello che è qui ed ora. Tanti paradisi, per come li pensiamo, sono infantili. I ricchi e i potenti della Terra, che fanno del male a tutti pur di avere ciò che vogliono, seguono in fondo un’idea primitiva di paradiso e di beatitudine, infantile e sopratutto malvagia.

Noi dobbiamo pregare che il Distruttore ci faccia a pezzi, perchè il male che ci fa ci apre verso nuove vette, verso le Verità. Il Distruttore ci apre la strada verso la Luce che non può essere spenta. Allora vediamo che la Morte non è solo male, che la Morte, in tutte le sue forme, è necessaria e ci appartiene. Persino la Morte è un dono di Dio.

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Orfano vs Distruttore

Ecco, fra l’Orfano e il Distruttore ci sono varie differenze. L’Orfano sta lì a leccare le ferite dell’Io. L’Orfano ci aiuta a guardarci dalle minacce fisiche e psicologiche, le evita, le detesta. La sua sfiducia è volta a proteggerci da ciò che potrebbe ferirci. Il suo dono è la solidarietà verso gli altri che soffrono, la rinuncia a falsi sogni e falsi miti. In ultima analisi, l’Orfano, anche quando è un’ombra, serve a proteggere il nostro Io dalle minacce e dal dolore.

Il Distruttore invece appartiene allo Spirito e lo serve. I nostri bisogni fisici, quelli della famosa piramide di Maslow, non hanno importanza. Per esempio il Guerriero può essere feroce e crudele in maniera simile al Distruttore, ma lo fa sempre con lo scopo di farci sopravvivere. Derubare, umiliare e sottomettere gli altri serve a garantirci tutte le risorse di cui abbiamo bisogno, a soddisfare tutti i nostri bisogni materiali.  Il Distruttore invece fa del male perchè lo desidera, un desiderio che non serve a stare bene o migliorare la propria condizione. I serial killers per esempio rischiano la vita nel fare ciò che fanno, potrebbero essere condannati a morte e in ogni caso perderebbero tutto se scoperti, però continuano, non possono fermarsi.

Oppure ancora, l’Angelo Custode ci vuole sani e al sicuro, il Distruttore invece minaccia tutta la nostra vita sociale, la salute, l’integrità fisica, tutto può essere buttato alle ortiche.

Ecco dunque che con l’Orfano, la principale differenza sta proprio nel fatto che il Distruttore non ci protegge dalle ferite, ma le cerca, le apre. La malvagità del mondo, le sue crudeltà, l’inevitabilità della morte sono tutte cose non da cui bisogna scappare, ma da cui talvolta è necessario lasciarsi travolgere. Questo oceano di dolore che ci circonda e ci orfanizza, è  necessario. C’è la necessità di subire esperienze orfanizzanti, la necessità di accettarle.

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Io e il Distruttore

Questo articolo è stato iniziato a Luglio 2025. Ma ora che scrivo è Dicembre. Nel mezzo sono successe molte cose che mi hanno portato a rivisitare questa sezione dell’articolo.

Inizialmente avrei scritto di come ho conosciuto la depressione nella mia vita. La depressione è bruttissima, eppure quando poi non ce l’hai più, sembra un ricordo lontano, come un brutto sogno. Posso riassumerla per tutti come un desiderio di morte, perchè la morte cessa di far paura. La si può descrivere ulteriormente facendo ricorso ai suoi sintomi (mancanza di voglia di fare qualsiasi cosa, perdita di motivazione nella vita, difficoltà a prendersi cura di sè stessi) o a metafore colorate, (un tunnel buio dentro il quale non si vede l’uscita, la notte dell’anima). Ancora peggio quando ciclicamente mi tornava a causa proprio del ciclo. Ho passato i miei anni universitari tormentata da questa oscura maledizione.

E poi… ho iniziato a lavorare. Ho guadagnato i miei primi soldi. Ho avuto la mia macchina. Ho passato i miei giorni lavorando in compagnia e poi tornando a casa dall’uomo che amo. Ho sperimentato quella magica benedizione che è la felicità quotidiana. Ho fatto nuove amicizie, mi sono innamorata senza attaccamento, sono cresciuta umanamente e spiritualmente, ho guadagnato dell’autonomia, ho imparato a distinguere me stessa dagli altri, mi sono ri-conosciuta. Tutto questo e altro ancora mi ha portato ad un attaccamento incredibile alla vita, come non provavo da anni. E parallelamente ho provato per la prima volta in vita mia una paura straordinaria di morire, una paura freschissima e viva, quasi adrenalinica.

Ma non solo paura, ma un senso indicibile di assurdità. Tutte le notti, da questa estate fino a metà autunno, ho provato un terrore esistenziale inaudito, pari alla gioia che provavo durante il giorno. Ho provato letteralmente il brivido di vivere, come se vivere veramente fosse salire su questa folle montagna russa spericolata.

E l’esistenzialismo… che botta! Mi si è riempita la testa di domande. Perché io sono questa persona? Perchè sono nata qui? Perché devo vivere esattamente questa vita in questo modo e non un’altra? E perchè io ho questa gioia e tante altre persone invece una marea di dolore? E poi che fine farò dopo che morirò? Perché devo morire? E che fine faremo quando anche l’universo morirà? Dove andrà il tutto? E poi perché devo uccidere per vivere? Che senso ha la vita quando si è un insetto? E poi il passato: tutti quei giorni che ho vissuto sembrano di un’altra persona… e mia nonna, che è morta senza che potessi veramente dirle addio, mentre era arrabbiata…

Non potrei nemmeno dirle tutte le domande che ho avuto, senza una risposta, miste a panico. Addirittura mi sono svegliata una mattina che avevo appena sognato di morire, di sentire la completa impotenza dell’essere presi dalla morte, la solitudine, la tristezza. Mi sono svegliata piangendo di paura e dolore. Ancora oggi, mi capita a volte di andare a dormire che ho paura, perchè non so se il giorno dopo qualcosa o qualcuno reclamerà la mia vita. Eppure sono felice, felice come non mai.

Tutto questo è l’esatto opposto degli anni vissuti prima, depressi, passati nel rifiuto della vita e del presente, anni che si sono ripetuti uguali a sè stessi, pieni di fastidi, di ansie, e dove però ero sempre nella comfort zone. Non è che io non abbia mai avuto paura di morire, ma che questa estate il dubbio si è fatto più cogente, più pressante, più esistenziale. E ho realizzato finalmente che vivo dentro una bolla. Sono come giunta ad una realizzazione: che la vita da ora in poi sarà veramente tutto questo che c’è adesso. Che è lunghissima e breve insieme, e che sembrerà un sogno e che sarà dimenticata e io sarò la prima a dimenticarla. Posso veramente decidere di viverla appieno pensando solo al presente, oppure di decidere di lasciare un progetto e affidarlo al futuro, potendo solo sperare nel futuro, i quel mondo indifferente che continua a esistere dopo la nostra morte.

Proprio in questa paura della morte ho trovato il desiderio della maternità, che non riesco a spiegarlo razionalmente, e forse non posso affatto spiegarlo. Voler tenere in braccio un bambino, allattarlo, vederlo crescere, coprirlo di baci e svegliarmi una mattina che si è fatto uomo o donna. Sembra bellissimo. Eppure c’è la morte, perchè devo desiderare di mettere al mondo qualcuno che soffrirà, che non posso garantirgli che tutto andrà per il verso giusto? I miei discendenti forse vivranno orrori, e io sarò sotto terra e non potrò fare nulla per loro. Il sangue del mio sangue soffrirà, così in maniera assurda come io, sangue del sangue di altri, godo, senza nessun merito. Un altro umano dovrà inserirsi nella narrazione della vita e sarò io a inserirlo. Un altro adulto, un altro individuo che come me dovrà partecipare alla narrazione del mondo. è così assurdo. Eppure… eppure non cesso di desiderarlo. Di vedere i miei occhi misti agli occhi del mio amore, di vedere la mia pelle mescolata alla sua, i nostri volti, il nostro sangue…

Potrebbe anche andare tutto storto e nascere un bambino malvagio oppure difettato. Potrebbe comunque finire tutto, morire prima del tempo, lasciarmi sola alla vecchiaia.

Eppure…

credo che valga la pena tentare.

Cosa centra il Distruttore con tutto questo? Beh, che ogni giorno vedo sempre più chiaramente chi sono, rimuovendo ciò che non sono. E che questa morte puntella la mia vita e la sorregge. E solo in realtà vivendo questa lezione che potevo andare avanti e scrivere degli altri archetipi, che parlano di amore e generazione: l’Amante e il Creatore. Perchè ora riconosco anche loro, e sopratutto col Creatore, ci stiamo finalmente incontrando di nuovo.

Lettera a Jacopo

Caro Jacopo

Alla fine questo è quello che ho capito:

che tutta questa vita fino ad ora, tutta la nostra infanzia, tutti quei nostri giorni incoscienti, altro non erano che il tutorial: cosa c’è da avere nostalgia?

Ora ci siamo risvegliati alla vera Storia, quella che, mettendoci al mondo, ci chiamarono a prendere parte. E la vita è veramente tutto questo che sembra: mangiare, dormire, cacare, questo a ripetizione, ogni giorno, fino all’ultimo;

altre sorprese son poche, e l’ultima di certo è misteriosa.

Perciò, visto quanto ci è stato dato, facciamo di questi giorni che abbiamo un tesoro. Il mio regalo per te è questo: prenditi le belle sorprese, vivi, va’ incontro agli eventi. Non c’è fuga dalla notte, non rimandare la gioia che ti spetta, non nasconderti dietro al silenzio, non tenerti tutto dentro.

Noi, i tuoi amici, siam qui per vederti sbocciare.

Con affetto,

Bianca e Davide

Il Cercatore, l’archetipo del viaggio

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base dee mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Il Cercatore è il primo degli archetipi dello Spirito; come dice il nome, è l’archetipo che rappresenta la ricerca, l’impulso che ci spinge ad anelare a qualcosa di più grande di noi. In questo sta la differenza fra gli archetipi dell’Io e quelli dello Spirito: i primi assolvono a bisogni materiali e oggettivi, i secondi invece a bisogni immateriali che talvolta sono persino in contrasto con quelli dell’Io, se non addirittura che lo mettono in pericolo!
Il Cercatore è il viandante che, nel deserto dell’esistenza, va in cerca delle fonti della Verità e del Senso. Forse cerca Dio, forse cerca di capire chi è sé stesso, forse cerca il sacro, ma una cosa è certa: si pone domande, cerca risposte, cerca di darsi una ragione del proprio esistere, alla quale né le comodità del mondo, né la scienza, possono dare definitiva risposta.
Forse la scienza ti risponderebbe che sei qui per una serie di eventi, ma non sarebbe una risposta sufficiente a dissipare il senso di assurdità dell’esistere.
A volte questa ricerca non trova conclusione, a volte invece può addirittura portarci in luoghi oscuri, rovinarci la vita e spingerci ad andare oltre quello che è moralmente o umanamente accettabile.
In ogni caso, per il Cercatore è il gioco di farsi una domanda e cercare la risposta ad animare l’esistenza:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

Ulisse, nella Divina Commedia, è condannato da Dante, che decide di inserirlo all’Inferno, perché secondo la moralità cristiana medievale, egli si è spinto oltre ciò che compete agli esseri umani, lontano dalla guida di Dio, e così facendo ha peccato. Oggi invece assomigliamo di più agli antichi: è giusto spingerci fino ai nostri limiti, testare dove posiamo arrivare e poi andare oltre. Tuttavia, come fa notare Carol Pearson e come chiunque di noi abbia potuto constatare, l’archetipo collettivo del Cercatore è diventato un’Ombra, le cui conquiste minacciano di eradicare l’umanità anziché elevarla..

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Il sufflato del Cercatore è la curiosità, la volontà di andare oltre la mera vita che c’è. Vediamo questo esempio:

Questo tweet rappresenta a pieno un Io che ha tutto: il lavoro, la possibilità di comprare beni di comfort, istruirsi, vivere una vita socialmente accettabile, il tutto fino al proprio ultimo giorno. Ma questa Jennifer Down si chiede onestamente che senso abbia questa vita.”I’m bored”, dice. Una vita noiosa, che giunta al suo apice è già giunta alla fine, perchè non ha più nulla da conquistarsi. Ora mi sembra che Jennifer non si interroghi su quale sia il senso propriamente detto, ma semplicemente mi sembra indicare che una vita fatta e finita, una vita adulta, urbanizzata e individualista, non abbia più sorprese da regalarci, se non la vecchiaia e la morte. Questo tweet mi piace perchè ho provato anche io questa sensazione, seppur non in maniera altrettanto netta. La vita ha bisogno che accadano cose, che ci siano sorprese, alti e bassi, e che ci sia qualcosa di più del semplice soddisfacimento dei bisogni fisici e di autonomia individuale.

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Viktor Frankl, psicologo sopravvissuto ai lager nazisti, direbbe alla nostra Jennifer Down che il suo bisogno di significato è insoddisfatto. Frankl, infatti, suggerì che la piramide di Maslow era incompleta. Nei lager, egli era stato deprivato di tutto: del proprio lavoro, della propria salute, dei propri familiari. Qual’era dunque il senso della vita, perchè non lasciarsi invece morire? Lui lo ritrovò quando, osservando i suoi compagni di prigionia, scoprì che i più resilienti erano quelli capaci di trovare un significato nonostante l’orrore e la durezza di quella situazione. La morte invece attendeva tutti quanti si lasciavano andare all’apatia. Aggiungo io che, anche senza finire in un campo di concentramento, si può morire per mancanza di senso, come è successo a mia nonna dopo che è morto nonno.

E poi ci sono quelli che si castrano da soli, non perchè non hanno soldi o tempo o voglia di fare figli, ma perchè temono la responsabilità di aver creato un’altra vita, che secondo loro, è destinata unicamente a soffrire. A parte il mio personale astio verso queste persone, perchè mi sembrano dei moralisti da quattro soldi, è facilmente leggibile che il loro Cercatore ha vagato e vagato nel deserto, ma non ha trovato la fonte del Significato. Ammettono infatti che questo mondo li disgusta, alcuni sono furibondi con i loro genitori per aver dato loro la vita, sottoponendoli così al futuro abbraccio della morte e a tutto il dolore che c’è in mezzo. Non solo il loro Cercatore non ha trovato nulla, ma sono Orfani, Orfani della vita stessa. Io non voglio pensare che il loro viaggio si sia fermato, non voglio pensare che sono giunti all’univoca conclusione che tutto è brutto e che possono solo drogarsi in vari modi per avere temporaneo sollievo dallo stress di esistere. Non voglio nemmeno che facciano dei figli per forza, voglio solo che non vedano che ci siano solo il male e i problemi, o le famose tasse e la morte… vorreri che vedessero anche il bene, la gioia, la scoperta, il mistero, la pace.

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Voglio questo perchè, ciò che mi trattiene veramente dal procreare, è che cosa racconterò alla mia creatura. Più che mai per me si è fatta ardente la domanda di significato, e il mio Cercatore, armato di bussola e di un machete fatto di senso critico, non vaga, ma cerca veramente una risposta. La voglio! Quando assaporo e immagino il momento in cui spirerò, quando mi chiedo perchè proprio qui e ora, perchè quest’epoca e questa nazione, perchè questo pianeta, perchè questo universo, quando sono così, io voglio quella risposta!

Contemplo questo fatto di esserci, mi sembra assurdo, e mi sento un po’ in colpa perchè mi è andata proprio bene. Anche se dovesse esserci la terza guerra mondiale, penso comunque che mi è andata veramente bene, diversamente da miliardi di altri prima di me. Non so nemmeno che cosa c’è al di là dell’universo, o dopo che finirà, e sono più che convinta che la morte sia un bel dispetto, però eccomi… non riesco ancora a pensare che la vita sia malvagia, nemmeno guardando i bambini morire, nemmeno pensando a chi muore da solo, precipitando da un burrone o finendo in un pozzo, o marcendo in un ospedale o buttato nei rifiuti da un serial killer. Anche l’orrore è degno di essere parte dell’esistenza, anche i demoni e i mostri e lo sbagliato e il male. Certamente devono sparire, ma non posso lasciare loro il potere di castrarmi, di vincermi, di farmi rinunciare a generare. Perchè allora hanno già vinto.

Solo sono ancora incerta se sia giusto generare, cerco ancora qualcosa in più per autorizzarmi a farlo, cerco il valore stesso della vita, il suo cuore, qualcosa che non può essermi tolto, qualcosa che giustifica la vita sempre e comunque, anche quando è una merda, anche quando non hai nemmeno un cervello per pensare, qualcosa simile ad una luce che non può essere spenta. Questo è il tassello fondamentale del puzzle, intorno a cui ruota tutta la mia ricerca.

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La verità è che penso tanto alla morte perchè sono proprio felice in questo momento. Ho paura di perdere questa felicità.

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La ricerca spirituale

Ricordo molto bene il momento in cui il mio Cercatore si è manifestato, è stato quando ho deciso di leggere il Vangelo. Avevo quattordici anni ed ero curiosa di sapere cosa ci fosse scritto dentro. L’ho aperto e l’ho letto, e nulla è stato più come prima…

… da lì in poi iniziai a cercare qualcosa. Inizialmente una religione. Avevo capito che lo Spirito era una cosa importante, anche se oggi direi che per l’età che avevo gli avevo attribuito un’importanza eccessiva, a scapito dell’Io. In ogni caso continuai a cercare Dio e a cercare la Verità. Lessi tanti libri, sperando di trovare lì ciò che cercavo. Per i miei gusti, ne lessi molto pochi. Cercavo probabilmente di dimostrare che la morte non era la fine di tutto, e che questo mondo non è radicalmente malvagio. Inizialmente sono state queste le mie preoccupazioni principali.

Successivamente ho cercato una religione o una filosofia di pensiero in cui l’essere una donna del ventunesimo secolo non fosse un problema.

Forse qualcuno pensa che io abbia letto la Bibbia, o il Corano, o qualche canone Buddhista o Induista, qualcosa… e invece no! A posteriori vedo che mi sono mossa con un altro approccio, senza leggere i libri sacri. Ho letto qualcosa di filosofia, tanta sociologia, ho letto dello yoga, ho cercato di decostruire e decostruire e trovare un qualsiasi cosa che… mi facesse sentire bene. Perchè in verità di leggere libroni non me ne andava. Posso dire che le religioni le ho a malapena sfiorate.

Ma a che mi serviva leggere libri se poi tanto queste religioni non potevo viverle a pieno, col corpo, con la comunità?

Mi sono accorta infatti che questa non è una civiltà fatta per credere. Nè nelle religioni orientali, perchè non sono proprie della nostra cultura, nè nel cristianesimo che sia, perchè comunque dai fastidio, o sei strano. Io per prima non nego un certo imbarazzo che provo verso chi crede, eppure allo stesso tempo rimpiango il poter credere. Questa civiltà non è fatta per pregare, non in maniera evidente.

Non c’è nulla di sacro, nemmeno i soldi col senno del poi. Se c’è del sacro, questo va bene fintanto che promuove il consumismo. Per me non ha mai avuto senso il fatto che per entrare in contatto col sacro dovessi spenderci soldi, nemmeno quando ero all’apice della mia ingenuità e creduloneria. Ho sempre e comunque coltivato l’idea che le Verità del mondo sono accessibili da tutti e gratuite, letteralmente Open Source, e si manifestano a chiunque abbia il cuore puro e la mente salda per trovarle.

Alla fine il mio Cercatore ha trovato Sophia. Il sacro che cercavo, il senso, l’ho trovato in lei. Ora credo che solo la Conoscenza mi può veramente salvare, perchè ogni volta che ho scoperto qualcosa di nuovo, sconvolta o felice che fossi, ne ho avuto un beneficio. Con la Conoscenza ho compreso il mio posto nel mondo.

Sapere è bello. Sapendo riesco ad essere magnanima. Sapendo riesco a superarmi. Sapendo posso salvarmi e prendere decisioni. Sapendo che il male ha fine, posso sopportarlo.  Sophia non è mero accumulo di saperi, di libri, di paper scientifici. Sophia sono le intuizioni divine delle Verità del mondo, gli insight, i momenti di brillante saggezza, quei momenti in cui i pezzi del puzzle cadono al posto giusto. Sophia è la conoscenza di Dio, che sta fuori e dentro di noi. Allora lo vedi, allora c’è. Allora ti interroghi su ciò che è bene e male e cresci.

Come dice anche la Pearson, il Cercatore può diventare un Iniziato. Io mi sento Iniziata da quando ho giurato di seguire Sophia. Ora continuo a cercare, ed è questo viaggio, con o senza meta, sacro in sè. Anche se ancora non ho tutte le risposte, conto di poterle trovare. In verità credo anch’io, spero, prego, aspetto una risposta come chi vaga nel deserto aspetta la pioggia. Voglio quel centro della vita, quel centro dell’essere che i cristiani trovano in Dio. Lo voglio pure io, voglio poter far parte di questa verità senza sentirmi esclusa solo perchè ho qualche vizio o sono troppo donna, o altre scempiaggini varie.

 

Voglio solo una scusa.

 

Il Guerriero, l’archetipo della spada

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base delle mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Il Guerriero è l’archetipo che protegge i confini dell’Io, quello che ci da’ la disciplina e la forza di portare avanti i nostri obiettivi. Con il Guerriero noi ci facciamo strada nel mondo e ci difendiamo. Senza questo archetipo, siamo vulnerabili e manipolabili.

L’Ombra del Guerriero è presto detta: pensiamo a quanti si fanno avanti nella vita con la violenza e con le furbizie. Il mondo pullula di Guerrieri oscuri in questo momento, contando quante guerre ci sono.

Ma la violenza può andare a braccetto anche con l’assenza di identità. I Guerrieri deboli sono prede dei Guerrieri forti. Organizzazioni militari e terroristiche reclutano così i propri soldati. Ragazzini e giovani uomini con un senso di identità debole finiscono spesso per venire reclutati in cambio di promesse di virilità, soldi, identità e… amore. Accoglienza in un gruppo. Noi ti amiamo, noi ti renderemo un Guerriero, con noi tu sarai qualcuno. Ma la trappola è che una volta entrato, non puoi più uscirne, e la tua vera identità, quale che sia, è solo un ostacolo agli obiettivi del gruppo.

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Quando invece il Guerriero è potente e giunto al suo apice di sviluppo, è padrone di una grandissima virtù: l’assertività. Ci si può far valere senza prevaricare nessuno, si affrontano le sfide della vita con coraggio e disciplina e si è pronti anche a combattere e sacrificarsi per gli altri.  Chiunque abbia mai combattuto contro qualcosa di terribile nel mondo, è un Guerriero, non importa se lo ha fatto con un’arma, con lo studio, con la parola o con i gesti, perchè non è più necessaria la forza fisica per farsi valere. A questo livello, il Guerriero e l’Angelo Custode giungono a fondersi, perchè i loro obiettivi coincidono: combattere il male è prendersi cura del bene, amare è proteggere. I grandi Guerrieri per me sono dei  Paladini.

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Io e il Guerriero

Dopo l’Orfano, anche il Guerriero era un archetipo incolto. Non c’è bisogno di ripetere ancora che era tale perchè io usavo l’Innocente per soddisfare tutti i bisogni dell’Io. Ora che il mondo mi chiama a vivere anche fuori di casa, però, l’Innocente non basta più!

Scrivendo questo articolo, mi sono chiesta quale fosse il mio Guerriero, perchè in me non è evidente come in altre persone.

Innanzitutto ho capito che per me essere un Guerriero significa essere disciplinati e incorruttibili, dove per incorruttibili si intende inalterabili alle manipolazioni. Questo non significa essere sordi e ciechi al resto del mondo, ma saper distinguere il Bene dal Male, gli amici dai nemici, la verità dalla menzogna.
Per me il vero Guerriero è il Risvegliato, la persona descritta nel famoso Sutra del Diamante:

Come le stelle, un difetto della vista, come lampada,
Un finto spettacolo, gocce di rugiada, o una bolla,
Un sogno un lampo balenante, o una nuvola,
Così si dovrà vedere ciò che è condizionato.

Questo è il mio ideale. Ma in verità non credo sarò mai una dura. In realtà sono un po’ una frana come Guerriero!

In questi anni di tribolazioni però, riconosco dove si trovi il mio Guerriero. Quando ricevo una responsabilità, questa non è più solo un fardello ma anche un motivo di orgoglio. Quando me la devo cavare da sola, è un traguardo e un’opportunità, non solo una condanna. E infine, quando mi accorgo che affermarmi come essere umano sta diventando una necessità non più rimandabile, anche a costo di non piacere a qualcuno.

Ci sono tante persone che non possono apertamente esercitare il roulo del Guerriero nella propria vita, per un milione di motivi diversi: perchè non hanno forza fisica, perchè sono isolate e circondate da persone ostili, perchè non hanno denaro o influenza sociale. Però essere deboli non significa non avere un Guerriero interiore.

Avere il Guerriero significa avere un sano orgoglio, un proprio senso di identità, una durezza dell’anima che non può essere scalfita dalle falsità, dalle maldicenze, dai dubbi infondati. Essere un Guerriero significa non lasciare che gli altri raccontino la nostra storia.

Per esempio, come donna, significa non lasciarmi raccontare dagli uomini, cioè di non basare la mia identità sugli stereotipi creati da qualcun’altro. Nessuno ti può dire chi sei, solo ciò che è dentro di te lo può testimoniare. Anche quando gli altri parlano a vanvera e ti umiliano con le parole, essere Guerrieri per me significa non interiorizzarle, non dimenticare mai chi si è veramente.

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Nella vita siamo circondati di persone che vogliono modificarci a loro piacimento.

A causa di pessimi esempi, per lungo tempo dentro di me ho avuto un’immagine del Guerriero malata: per essere tale credevo che bisognasse per forza avere successo sportivo, superiori prestazioni psico fisiche, forza di persuasione sugli altri. Avevo pensato che la forza fosse la prepotenza e che perciò essere forti fosse sbagliato, che entare di cambiare gli altri o di convincerli di qualcosa in cui non credono è sbagliato, anche quando so che è giusto. Per questo motivo raramente mi sento a mio agio ad esporre le mie opinioni… le persone intorno a me dicono sciocchezze, ma io non le correggo, anche quando questo andrebbe a loro beneficio. Ho paura del confronto, di perderlo e di essere umiliata. Ma non solo: è che ho paura di perdermi, di adottare le posizioni del mio interlocutore solo per metterlo a suo agio ed evitare lo scontro.

L’immagine qui sopra rappresenta il finale di Avatar, l’ultimo dominatore dell’Aria. **SPOILER: quando la tartaruga leone insegna ad Aang il dominio dell’energia, lo avvisa che il suo spirito dovrà essere inalterabile se ne vorrà dominare un altro.
Durante lo scontro finale, Ozai sta per avere il sopravvento su Aang, e la sua energia arancione, che rappresenta la sua ideologia di violenza, ha quasi completamente ricoperto il corpo del protagonista. Aang sta per cedere,  ma alla fine ha la meglio, perchè rimane saldo nella sua idea di non violenza. La sua radicalità lo aiuta a sconfiggere il male e a salvare il mondo.**

Ho tirato fuori questo esempio perchè per me rappresenta perfettamente lo scontro fra due confini dell’Io, fra due luci la cui forza è misurata solo dall’inalterabilità della propria convinzione. Quando vedo Aang che sembra soccombere alla luce arancione, tremo.

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L’Ego e lo Spirito

Siamo giunti all’ultimo archetipo dell’Io. Prima di lasciare indietro la famiglia dell’Io e avventurarci verso gli archetipi dello Spirito, voglio parlare di alcune cose.

Innanzitutto voglio far notare come l’Innocente, l’Orfano, l’Angelo Custode e il Guerriero non sono bolle isolate, ma fanno quadrato: uno solo di questi non basta per essere una persona. Solo tutti e quattro uniti ci danno un essere umano completo. Magari privo di spiritualità, ma almeno in grado di funzionare in modo sano.

I quattro si richiamano fra di loro. Il solo Innocente, tipo com’ero io, è infantile. Il solo Orfano è come un animale diffidente. Il solo Angelo è un martire, il solo Guerriero è un demone. Ma tutti insieme, ecco che appare la persona. I due bambini ci fanno amare, e la coppia genitoriale aiuta a prenderci cura di noi stessi. Certo, se fossero quattro Ombre, ci ritroveremmo davanti… non lo so, un delinquente, uno che è infantile, diffidente, fa sempre il martire e se la prende con tutti, la cui identità è basata sul farsi sfruttare e poi lamentarsi.

Ci sono due archetipi che sono collegati all’Io, ma fanno parte del gruppo del Sè: sto parlando del Sovrano e del Mago. Se si ha un buon Ego, il Sovrano significa che sta regnando bene, amministrando ogni parte armoniosamente. E se si è capaci di crescere ed evolversi, vuol dire che il Mago sta facendo la sua magia.

Poi volevo parlare dello Spirito e del suo rapporto col nostro Ego. Spesso gentaglia come me ha l’ardire di ficcanasare nelle religioni orientali alla ricerca dell’elisir dell’eterna felicità o della perfezione individuale assoluta. “Bisogna gettare l’Ego!!!”Ecco… io una volta vidi un video illuminante che parlava proprio di questo, e il fatto è che per abbandonare l’Ego bisogna prima averne uno.

Cosa vuoi gettare infatti, se non sei nemmeno una persona compiuta? Cosa vuoi gettare se sei come aria? Se la tua identità viene creata da altri ad arte? Senza Ego non abbiamo una disciplina per compiere un percorso spirituale serio, non possiamo nemmeno mantenere le promesse che facciamo a noi stessi e agli altri, non possiamo fare nulla di realmente radicale e profondo, nulla che sia duraturo. Ho un po’ lasciato perdere il mondo della spiritualità, anche se mi affascina, perchè è pieno di trappole consumistiche, di sciocchezze e fai da te, di trappole per persone deboli e insicure.

Solo quando non avremo più dubbi su chi siamo, potremo procedere e liberarci dei nostri stessi limiti.

 

 

 

 

L’Angelo Custode, l’archetipo materno

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base delle mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Dopo tanta assenza sono tornata per finire la serie di articoli sugli archetipi, almeno quelli dell’Io. Questa settimana tocca all’Angelo Custode!

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L’Angelo Custode, all’interno degli archetipi dell’Io, incarna una figura materna e amorevole: è proprio questo infatti il suo compito, prendersi cura di noi.

Dopo la coppia Innocente-Orfano, c’è la coppia dell’Angelo e del Guerriero, che simili ad un padre e una madre interiori aiutano l’Io a essere adulto e indipendente. Mentre il Guerriero difende i confini dell’Io dalle minacce esterne, l’Angelo Custode lo aiuta a prendersi cura di sé stesso e a mantenersi.

È molto semplice questo Archetipo, ma non per questo è meno importante. La lezione dell’Angelo Custode è una lezione di amore concreto, inizialmente per noi stessi, e poi, ai livelli più alti, verso il mondo. Questo amore è diverso da quello dell’Innocente, perché l’amore dell’Innocente è in realtà un amore interessato, tutto teso alla necessità di essere riamati, mentre questo è un amore necessario, un dovere da compiersi. Questo è l’amore di chi assume una responsabilità e la porta avanti fino in fondo.

Non è un caso che questo archetipo coincida con un’immagine quasi genitoriale. Non si può essere dei buoni genitori se questo archetipo è assente o un’Ombra.

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L’Ombra dell’Angelo Custode è molto spaventosa, perchè trasforma l’amore e la cura in catene che imprigionano. Quando il nostro Angelo è Ombra, cessiamo di esistere per noi stessi e iniziamo a servire totalmente l’Io di qualcun’altro, di cui diventiamo l’archetipo dell’Angelo.

Non starò qui ad indagare le ragioni psicologiche che si cela dietro questo tipo di relazione morbosa, ma voglio sottolineare che questo amore, apparentemente perfetto e incondizionato, quasi devozionale, non è solo una trappola per chi lo offre, che si umilia e fa mille sacrifici, ma anche per chi lo riceve, che non dovrà mai crescere o affrontare la realtà. Farò esempi concreti come il nostro archetipo: partner che fanno da genitori all’altro, partner che consentono che l’altro continui a fare il tossicodipendente, l’infantile, l’obeso… o ancora mogli o mariti crocerossini, che sperano di “salvare” la persona che amano, genitori tossici che inebetiscono i figli e poi li accusano di essere nullità… l’elenco è molto lungo.

In alcuni individui mentalmente instabili, l’Ombra dell’Angelo addirittura li spinge ad azzoppare la vita di un’altra persona, pur di renderla dipendente da sé. Mi è sempre rimasto impresso un caso di cronaca nera in cui una madre aveva convinto tutti che sua figlia era malata, e l’aveva tenuta ferma a letto per tanti anni, anche se non aveva problemi.

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Nel mondo noi vediamo gli Angeli Custodi nei buoni genitori, nei medici e negli infermieri, in chi assiste i disabili, gli anziani, i bambini, gli animali, le piante e quante creature o creazioni abbiano bisogno di aiuto. Senza queste persone la società non esisterebbe, o meglio, sarebbe la società primordiale dove vige la legge del più forte.

Oggi, con l’accrescersi di guerre, c’è sempre più bisogno di Angeli Custodi che rispondano alla chiamata dell’Eroe.

Infatti le domande che pressano il presente sono tante: come daremo da mangiare a otto miliardi di persone? Che ne sarà di tutti gli orfani di tutte le guerre? E che ne sarà di tutti i profughi? Come ci salveremo dal collasso ecologico?  Queste sono solo alcune delle domande a cui l’Angelo che è dentro ognuno di noi è chiamato a rispondere. L’esempio più lampante che mi viene in mente è Gaza, dove finita la guerra, se finirà, rimarranno tanti orfani, disabili e traumatizzati. Lì c’è bisogno di tanti Angeli, io direi almeno uno per bambino, se non di più.

Però chi sarà in grado di rispondere a queste chiamate? Il telegiornale ci ha abituati ogni giorno della nostra vita a interessarci delle sofferenze altrui, senza però mai offrirci una soluzione, facendoci sentire impotenti. Alzi la mano chi, vedendo una persona intenta a chiedere la carità, finge di non vederla ma prova vergogna dentro di sè. Tutto questo è normale, lo facciamo per difenderci, per non essere dilaniati da tutto questo dolore, o anche solo per paura di essere raggirati, trascinati via, in un mondo dove spendersi per gli altri vuol dire realmente lasciar morire il proprio ego, oggi più che mai cosa inammissibile.

L’amore dell’Angelo, lo abbiamo visto, è anche questo, la morte dell’individualismo. Quanti vivono sostenendo gli ultimi non hanno una vita dedita ai divertimenti o al soddisfacimento personale. Spesso essere Angeli è pieno di aspetti brutti, pensiamo agli infermieri che vengono picchiati dai pazienti, o ai missionari e agli operatori di ONG che vengono uccisi da chi cercano di salvare, o ancora donne con la missione di “crocerossine” che finiscono vittime del partner che volevano cambiare. L’amore dell’Angelo è terribilmente simile a quello di Cristo, ma come Cristo, anche l’Angelo Custode può morire sulla croce, e questo ci fa paura.

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Invece… l’Angelo Ombra nel mondo lo vediamo operare in quanti coloro creano problemi e poi ci offrono la soluzione; in tutte quelle organizzazioni dove gli aiuti umanitari si trasformano in catene che portano dritte dritte alla schiavitù  e alla dipendenza economica. Per non parlare di quelle persone che credono di stare facendo del bene quando invece fanno attivamente del male. Ma non c’è bisogno di essere dei terremotati o delle vittime di guerra per finire fra le braccia dell’Angelo Ombra: anche il design degli oggetti, che è indirettamente una cura, può essere usato per distruggere le persone, renderle deboli e dipendenti dalla dopamina, incapaci di autonomia personale. Gli Angeli Ombra sono ovunque, e più che angeli, sembrano degli avvoltoi.

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Io e l’Angelo Custode

Ecco, ora passiamo alla mia parte preferita, quella dove vi racconto gli affari miei! ;3

Da quando ho comprato il libro della Pearson, tutto pensavo tranne che l’Angelo Custode mi riguardasse. Poi per scrivere questo articolo ho dovuto riflettervici sopra, e ho capito come invece tutti questi anni ho sofferto tanto perchè io non ero il mio Angelo. E sto ancora imparando molto! Posso dirlo qui: ho imparato a fare il brodo, ed è una cosa che mi da’ estrema gioia! Cosa centra con l’Angelo Custode? Beh, se non ti sai nutrire, come fai a farti da balia?

Il cammino che ci porta dalla totale dipendenza dai genitori all’autonomia è un cammino lungo e travagliato, e sopratutto, non è una linea retta fatta di certezza. Nasciamo dipendenti, ma non c’è scritto da nessuna parte che saremo mai indipendenti.

Mi ritornano alla mente tanti momenti in cui avevo bisogno dell’Angelo dentro di me, di una mamma interiore. Sono situazioni oggettivamente imbarazzanti da raccontare, perciò non credo che entrerò nei dettagli, ma riguardavano sempre la cura personale. A dodici anni il mio problema era la cura del corpo, lavarmi, cambiarmi i vestiti, e lo è stato per tutta la mia adolescenza: un rapporto travagliato con il lavarsi e il vestirsi.  Oggi vedo il valore dei dettagli e della cura, e lo apprezzo, ma ieri vedevo solo il bisogno di isolarmi e di far capire agli altri che non mi sarei curata per loro e che per me stessa non mi sarebbe importato.

A diciotto anni, uscita finalmente di casa (si fa per dire), i problemi sono stati curare l’ambiente intorno a me e prepararmi da mangiare. Non ci sono stati solo questi, ma  sono stati i principali.

Mi ricordo che ad un certo punto, a quattordici anni, mia madre è rientrata in casa arrabbiata con me e chiedendosi perché non avessi apparecchiato. Io non l’avevo fatto perché nessuno mi aveva detto di farlo, ma inizio a farlo, male, e vengo corretta per rimproveri, non per esempi. Per anni e anni ho fatto la tavola solo con la paura di essere rimproverata, non perchè ne avvertivo la necessità. Era l’Innocente ad apparecchiare quella tavola, per far contenta la mammina così non si sarebbe arrabbiata. Non era l’Angelo Custode.

Poi ho iniziato a pensare che effettivamente era bello per mamma, dopo il lavoro, trovare già apparecchiato, e poi infine ho imparato anche io ad apprezzare il pregio di una buona apparecchiatura della tavola. Ma a parte che non mi è stato veramente insegnato, ci si aspettava che io lo facessi in automatico senza che mi venisse chiesto.

Ora vi rivelo un segreto: lo sviluppo della corteccia prefrontale, che nelle donne inizia intorno ai 23 anni e si completa intorno ai 25, e 25 fino ai 27 per gli uomini, facilita l’autocontrollo e con questo la capacità di svolgere i propri doveri. All’improvviso ti svegli una mattina e sei una persona adulta. Ho già dimenticato com’era il mio cervello prima, eppure ricordo chiaramente quanto mi pesassero i doveri, quanto fossero odiosi!  E ora invece, seppur un po’ sbuffando, li faccio. E di altri ne sento addirittura il bisogno di farli, senza che nessuno me lo ordini. Assurdo, vero?

Comunque non sono state solo queste le mie prove, non è stato solo cucinare o pulire o prenotarsi una visita medica, la mia difficoltà. Ho avuto un acquario, ho avuto da badare, anche se raramente, mia nonna, e ho avuto anche una certa parte di me da gestire… e posso dire che non sono stata un buon Angelo. Ho fallito in multiple occasioni.

C’era molta attenzione sulle mie prestazioni come Angelo e… da una parte non si voleva che io lo fossi. Dovevo rimanere Innocente per sempre. Dall’altra però dovevo esserlo, e saperlo fare bene. Nei termini dell’analisi transazionale, si può dire che ricevevo ingiunzioni contradditorie. Non mi si voleva accordare il diritto di sbagliare, di fare esperienza. Come dire… potevo fare solo l’Innocente che gioca a fare l’Angelo Custode.

Non posso raccontare tutto, però posso dire che ora che sento questo archetipo vicino a me, sono molto più forte. Ho capito che non si tratta solo di saper dormire o mangiare o curarsi. C’è di più: amarsi è conoscersi. Conoscersi è amarsi. E amare è necessario per vivere.